Bona Up • La scuola e le imprese

Prima di scrivere questo post, ho dovuto respirare. Tanto. Le emozioni sono state forti, intense, disarmanti. Ecco perché esce solo ora.

Personalmente, ho sempre molta paura di lavorare con gli studenti: sono giovani, sono pieni di aspettative, sono un gruppo forte e tu sei lì a chiedere il permesso di entrare in relazione con loro, quasi in punta di piedi. Non sei un professore, ma nemmeno un loro pari: sei una via di mezzo intermedia, quasi un ibrido.

Ciò che mi spaventa sempre quando lavoro con loro è la paura di deluderli. Voglio lasciare il segno con qualcosa che possa esser loro utile, anche solo come spunto di riflessione per la loro crescita. Se con le mie parole e le mie azioni innesco un punto di partenza per una riflessione allora sto andando nella direzione corretta. Altrimenti sto sbagliando strada, devo ricominciare.

Questa è stata la mia prima riflessione con il gruppo delle Rete al Femminile che ha deciso di partecipare a Bona Up, la scuola e le Imprese.

Ora vi racconto cosa è successo.

Venerdì 4 novembre alcune di noi della Rete di Biella hanno partecipato a «Bona Up!», un evento organizzato in occasione del 103° anniversario di fondazione dell’istituto commerciale Eugenio Bona. Il tema proposto quest’anno: l’imprenditorialità femminile.

L’invito è arrivato la scorsa primavera e non abbiamo potuto dire di no.

Quello che ci accomuna nella Rete è la voglia di condividere, raccontare, sperimentare insieme. Ecco perché anche la scelta del cosa (insieme al come e al perché) portare ai ragazzi è partita da qui.

Abbiamo iniziato a incontrarci tra di noi, per trovare una modalità nuova e diversa per parlare di imprenditorialità, a partire dalla nostra esperienza: quello che ci ha guidate, quello che ci ha formate, quello che ci ha dato il LA per partire.

Come può tutto questo diventare utile ai ragazzi?

Ci siamo fatte delle domande. Tante.

Ci siamo raccontate.

Ci siamo confrontate.

E credetemi, non è facile mettere insieme tante idee! Arriviamo tutte da esperienze diverse, abbiamo attività differenti e arriviamo da percorsi diversi. C’è però una cosa che ci accomuna: quella spinta a voler fare bene il nostro lavoro e diventare freelance. Ho detto diventare, perché siamo freelance, non lo facciamo.

Quando scegli di essere freelance, e diventarlo veramente, serve farsi le giuste domande, cercando di capire se la tua idea, che magari nasce da una passione, può diventare quel qualcosa di concreto che ti fa trovare la tua strada.

La prima cosa che abbiamo scelto di fare è stata di non andare come singole imprese, ma come “insieme”, presentandoci come Rete al Femminile Biella.

Abbiamo scelto di darci 10 secondi a testa per presentarci e lasciare che i successivi 40 minuti fossero dedicati ai ragazzi per farli entrare nel mondo dell’impresa, della creatività, del “farsi le domande giuste”, a partire da “cosa vorresti fare da grande?” per scoprire che forse il lavoro giusto è quello che inventi e non quello racchiuso in rigide categorie.

Cosa abbiamo scelto di fare

Siamo “scese dalla cattedra” e siamo andate in mezzo a loro.

Invece di raccontare la nostra esperienza, abbiamo preferito lavorare insieme agli studenti per trovare la loro storia e scoprire quanto e come potesse essere credibile.

A partire da un’idea, mettere nero su bianco quello che può funzionare per partire e aprire una attività.

Non basta dire “ho un’idea pazzesca, faccio un’impresa”.

Analisi, studio, approfondimento ricerca sono i punti di partenza per capire se la nostra idea può davvero cambiare la vita delle persone (e il mondo).

Perché creare un’impresa, essere freelance, parte da questa domanda: “la mia idea (impresa) può cambiare (migliorare) il mondo?”

Abbiamo scelto di farli sperimentare, proponendo loro “Facciamo come se”.

Elena ha tirato fuori idee imprenditoriali assurde (ma nemmeno troppo) per aiutare i ragazzi a uscire da una logica “voglio fare l’avvocato, il commercialista, il cardiochirurgo, il pilota, il calciatore”, per entrare in una Fantastica (cit. Novalis).

“Se avessimo anche una Fantastica,

come una logica, sarebbe scoperta l’arte di inventare.”

(Frammenti, Novalis)

E poi abbiamo chiesto loro di rispondere a delle domande.

Te le riportiamo, ché magari possono essere utili anche a te.

Le persone

Chi sei?

È la domanda più difficile. Definire chi siamo in relazione a cosa facciamo, il problema che risolviamo e a chi siamo utili ci mette in crisi. Quali sono i nostri punti di forza?

A chi sei utile?

Capire se la nostra idea è utile a delle persone e non a un semplice target. Tutti i ragazzi hanno individuato le loro persone in base al problema che potevano risolvere. Da soli.

Chi ti aiuta?

Non basta avere una idea. La dobbiamo anche realizzare. Chi ci serve avere accanto perché il nostro progetto possa decollare?
Tutti hanno detto di non poter fare da soli, ma di aver bisogno di una rete per fare non solo meglio, ma bene.

Il come

Cosa fai?

Definire il tuo cosa in poche parole, chiare, comprensibili e utili.

Come lo realizzi?

Che si tratti di prodotti o servizi, abbiamo bisogno di capire qual è il processo produttivo per sapere poi di cosa abbiamo bisogno.

Di cosa hai bisogno?

Quali sono gli investimenti? Di quanto capitale abbiamo bisogno? E la struttura? E la rete di vendita?

Il perché

Che problema risolvi?

Ecco. Questa è la domanda a tutte le domande. Senza conoscere e definire il problema che risolviamo con la nostra attività non andiamo da nessuna parte.

Perché tu e non un altro simile a te?

Qual è il nostro valore distintivo? Come ci distinguiamo da chi fa un lavoro o produce un prodotto (o servizio) simile al nostro?

Come lo promuovi?

E quindi, con tutte queste informazioni come possiamo far sapere al mondo che esistiamo e come possiamo cambiare (e migliorare) la vita delle persone?

Inutile dirvi che tutti i gruppi ci hanno stupito. Hanno accolto le nostre osservazioni, ci hanno fatto domande e ci hanno regalato la cosa più bella che potessimo sperare: la loro curiosità.

Abbiamo concluso il nostro intervento parlando di fallimento. Abbiamo dovuto farlo, perché là fuori non è tutto oro e luccichio.

Abbiamo detto loro di non aver paura di sbagliare, ma di cadere. E di capire il perché. E poi rialzarsi, ricominciare, provare ed essere migliori.

Questo articolo l’ho scritto io, ma è il frutto di chi con me ha vissuto questa meravigliosa esperienza: Chiara, Chiara, Elena, Ilaria e Giulia.

Ho assoluta fiducia nei giovani e nelle loro capacità e l’esperienza di BonaUp me l’ha confermata. I ragazzi hanno tirato fuori curiosità, entusiasmo, caciara anche, ma come è giusto che sia quando si crea. Mi sono divertita molto, calata nei loro progetti spesso fantastici, immaginando un futuro possibile e fuori dagli schemi, quelli a cui spesso, purtroppo, sono/siamo legati. – Chiara –

Questa giornata mi ha dato la carica perché la nostra idea è stata utile (nessuno di loro aveva già fatto esercizi simili in classe) per dei giovani, il nostro futuro. Mi ha sorpreso la tutor d’aula che ha solo 18 anni eppure potrebbe già essere una buona collega di lavoro. Mi ha dato speranza perché la scuola continua, nonostante tutti i problemi, a cercare (con successo, in questi casi) di formare gli adulti di domani. Mi ha dato prospettiva, ho voglia di poter assumere al più presto uno di questi giovani brillanti per poter far crescere la mia attività! – Chiara –

Mi porto a casa oltre a quello che ha scritto Chiara, anche la luce negli occhi di Eric quando gli abbiamo detto che lui può essere anche altro da quello che ha sempre immaginato e che secondo noi ha del talento. (e una capacità di usare il pensiero laterale che a noi tutte mangia in testa!)  – Elena –

Lavorare in team su idee imprenditoriali ha permesso ai giovani di immaginarsi in un nuovo ruolo e di vivere un’esperienza di apprendimento non formale, con una aumentata consapevolezza sulle proprie passioni e sulle professioni future. Ancora molti volevano essere psicologi o avvocati ma si può pensare ad altri laboratori propedeutici.  – Ilaria –

Grazie.

bona-up

Tatiana Cazzaro

Lavoro per aiutare le persone e le imprese a guardare il mondo da una diversa inclinazione per scoprire un modo nuovo di comunicare, di raccontarsi e di entrare in relazione con gli altri. Lo faccio usando il magico potere delle parole e delle storie.

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