L’abito fa il monaco

Proviamo a pensarci un attimo: il nostro aspetto esteriore dice qualcosa di noi?

Comunichiamo in modo più o meno consapevole e più o meno efficace ogni giorno, e lo facciamo non solo con le nostre parole, ma anche attraverso la nostra immagine. Quando parlo di comunicazione efficace mi riferisco al suo uso funzionale, cioè all’obiettivo che vogliamo raggiungere e al messaggio che desideriamo trasmettere. 

Il modello 55, 38, 7 di Meharbian

“Nel regno degli esseri viventi non esistono cose ma solo relazioni.”

Bateson, 1976

Albert Meharbian, in una ricerca del 1967, afferma che l’efficacia di una comunicazione di tipo emotivo incentrata sulla relazione più che sul contenuto, dipenda 

  • per il 7% dai contenuti verbali della comunicazione, cioè le parole; 
  • per il 38% dagli aspetti paraverbali, ovvero l’intonazione della voce, il timbro, il ritmo e la velocità con cui si parla, il volume della voce; 
  • e per il 55% dalla comunicazione non verbale, la quale comprende l’aspetto esteriore, il comportamento all’interno dello spazio di movimento, i movimenti del busto, delle gambe e del capo, i gesti delle mani, le espressioni mimiche, lo sguardo, la prossemica.

Hai capito bene: il 55%. Non ci credi?

L’immagine di sé e il racconto agli altri

Sarebbe bello e certamente più efficace se potessimo fare insieme un esperimento di persona, ma proviamo comunque a fare un esempio. 

Se ci incontrassimo e ti dicessi: «Oggi sono felice» e nel dirtelo ti guardassi in viso, sorridendoti, con un tono di voce squillante, mi crederesti? 

E se ti dicessi le stesse identiche 3 parole con lo sguardo rivolto terra, le spalle giù e il tono della voce basso mi crederesti ancora?

Con buona probabilità hai risposto di sì alla prima domanda e di no alla seconda, e questo forse può iniziare a rendere l’idea di quanto contino all’interno delle nostre relazioni gli aspetti non verbali, i quali sono così connaturati alle interazioni della vita quotidiana che è difficile essere pienamente consapevoli della loro funzione e del loro significato.

In questo articolo ci dedicheremo a riflettere e a prendere in considerazione uno degli elementi della comunicazione non verbale: l’aspetto esteriore, il quale fornisce importanti informazioni sugli individui, influenza la formazione delle impressioni e provvede alla presentazione di sé in un contesto.

L’espressione di sé e l’aspetto esteriore

L’aspetto esteriore comprende diversi elementi, alcuni definiti “statici” in quanto generalmente non modificabili a breve termine nel corso dell’interazione, altri invece cosiddetti “dinamici” o mutevoli.

Fra i primi annoveriamo la conformazione fisica, che è costituzionale del fisico della persona: la corporatura, la forma del volto, il colore degli occhi, il colore e lo stato della pelle.

Fra gli elementi dinamici consideriamo invece gli abiti, il trucco, la pettinatura, gli accessori e così via.

Gli aspetti statici

Se ci pensiamo bene, la conformazione fisica è tra i primi aspetti che vengono percepiti quando si stabilisce una relazione fra due o più interlocutori ed è ciò che in prima battuta viene usato per inferire informazioni sull’identità della persona che ci si trova di fronte. 

Ad esempio, i lineamenti del volto, che non sono da confondere con le espressioni facciali che mutano molteplici volte nel corso di una interazione, forniscono alcune informazioni generali sulla persona: il genere, l’età, lo stato di salute, l’appartenenza etnica.

Se proviamo per un momento a uscire da un atteggiamento interpretativo e fatto di concetti a priori e ci atteniamo a una semplice osservazione delle persone che camminano per strada e che non conosciamo, ci accorgeremo che, pur non sapendo chi siano appunto, di loro abbiamo già qualche informazione:

  • sappiamo se hanno origini europee, asiatiche, americane, africane; 
  • sappiamo se sono maschi o femmine (e, se ti è mai capitato, proviamo disagio o imbarazzo quando non riusciamo a carpire tale informazione dall’aspetto esteriore); 
  • sappiamo se sono bambini, adolescenti, adulti o anziani. 

Da alcuni tratti possiamo addirittura capire se hanno un acciacco, una malattia o una sindrome: ad esempio, se incontro una persona col naso rosso e screpolato e gli occhi rossi, pur non avendole parlato, saprò con buona probabilità che ha il raffreddore.

Gli aspetti dinamici

Se gli aspetti statici ci danno già diverse informazioni rispetto a chi abbiamo di fronte, quelli dinamici possono fornirci un quadro più chiaro e influiscono sulla relazione che si instaurerà con una persona, almeno in prima battuta.

Hanno a che fare con l’aspetto esteriore e contemplano l’abbigliamento e l’outfit inteso in senso lato.

La funzione comunicativa dell’aspetto esteriore

Ci hanno detto, e a volte anche insegnato, che badare all’aspetto esteriore è segno solamente di superficialità. Ne siamo del tutto sicuri?

Dalle unghie di un uomo, dalle maniche della sua giacca, dai suoi stivali, dalle ginocchia dei suoi pantaloni, dai calli, sull’indice e sul pollice, dalla sua espressione, dai polsini della sua camicia, dai suoi movimenti, da tutte queste cose si capisce l’occupazione di una persona. È pressoché inconcepibile che, tutte insieme, non riescano a illuminare un investigatore esperto.

Sherlock Holmes, 1892

Secondo Stone (1970) gli abiti hanno una funzione comunicativa che segue un processo di sviluppo nell’individuo che inizia fin dalla prima infanzia con la distinzione dei ruoli sessuali promossa dai genitori. Passa poi attraverso la ricerca attiva di identità dei ragazzi anche nella definizione del proprio stile, il quale rappresenta uno strumento di socializzazione e mostra l’appartenenza a un gruppo e quindi una identità sociale. Raggiunge una fase di costruzione e codificazione dell’apparenza di sé, accessibile a tutti e utilizzata per mostrare agli altri e a se stessi un’identità e un ruolo sociale specifici.

L’abbigliamento e la prima impressione

In generale, l’abbigliamento, all’interno di una interazione sociale che avviene in un determinato contesto, può esercitare un ruolo di definizione della categoria sociale di appartenenza della persona, ma non solo: comunica alcune informazioni sull’individuo, che lo si voglia o no, che se ne sia consapevoli o meno.

Paul Watzlawick, direttore del Mental Research Institute di Palo Alto in California, nel primo assioma della comunicazione umana afferma che comunque ci si sforzi, non si può non comunicare

Tale concetto, se applicato all’ambito dell’aspetto esteriore, ci fa riflettere sul fatto che anche chi non presta attenzione alla propria immagine, chi è trasandato, chi cerca un abbigliamento quanto più possibile neutrale o chi si ribella ai dettami della moda, sta comunque dicendo qualcosa di sé e del suo modo d’essere e di pensare.

E l’abbigliamento ha effetto sulle relazioni interpersonali, in quanto influenza la percezione, da parte degli interlocutori, dell’immagine di una persona.

Molte ricerche in psicologia sociale hanno dimostrato come la stessa persona, vestita in modo diverso, sia percepita dagli altri in modo differente e susciti negli altri pensieri ed emozioni differenti e che la coerenza esistente fra l’aspetto esteriore e le altre fonti informative inerenti a una determinata persona risulta fondamentale per una percezione positiva dell’individuo.

L’abbigliamento dunque influenza l’immagine di sé percepita dagli altri e non solo alla prima impressione: alcune ricerche dimostrano come determinati aspetti dell’impressione iniziale permangano nel tempo, anche dopo che le persone hanno potuto interagire ulteriormente.

Presta attenzione al contesto

A fronte di tali evidenze, viene da riflettere che si può pensare a quale impressione di sé si vuole trasmettere anche attraverso il modo in cui ci si presenta esteriormente e che, come ogni tipo di comunicazione, anche questa dovrà tenere in considerazione del contesto in cui sta avvenendo.

A proposito di contesto, questo è il blog di Rete al Femminile Biella, un network che coinvolge donne libere professioniste e imprenditrici. Dunque può valer la pena pensare a quale tipo di messaggio vogliamo passare ai nostri clienti, fornitori, collaboratori/partner, referenziatori anche attraverso il nostro modo di porci e il nostro aspetto esteriore. 

L’immagine di sé e il personal branding

Possiamo pensare all’abito che indossiamo tutti i giorni come a un abito da lavoro, da vestire nei nostri contesti lavorativi, non tanto o non solo in un’ottica di vezzo, ma come se l’abito fosse uno strumento di lavoro, capace di veicolare dei messaggi che riguardano il nostro modo di operare e la nostra professionalità.

Chi ad esempio come me svolge una professione di aiuto, potrà pensare a come trasmettere un messaggio di accoglienza attraverso il suo modo di vestire. Chi svolge un lavoro creativo, magari legato alle immagini, potrà pensare a come poter trasmettere la sua capacità di avere colpo d’occhio attraverso un abbinamento di colori.

A tal proposito, ho chiesto a Cristina Lobascio, consulente d’immagine e Reticella biellese, di darci qualche indicazione per far parlare il nostro outfit di noi, della nostra professione e del nostro modo di lavorare. 

Ecco qualche spunto su cui riflettere.

La nostra immagine (e il nostro outfit) parla di noi

Edith Head, nota costumista statunitense, che vinse otto Premi Oscar per i costumi su 35 nomination, diceva:

“Si può avere tutto nella vita, l’importante è indossare l’abito giusto.”

Proprio così. Gli abiti che scegliamo sono il nostro strumento per proporci e collocarci nella società, il colore o il tessuto possono rafforzare o smorzare la nostra immagine, e non capita mai un seconda occasione per fare una prima buona impressione.

Il potere dei colori

I colori hanno un potere comunicativo determinante: gli azzurri, ad esempio, trasmettono serenità, sicurezza e professionalità, ecco perché i  camici dei medici, le camicie dei dirigenti, e molte divise militari sono realizzate in queste tonalità.

Se svolgi un lavoro che richiede collaborazione ed empatia, usare varianti di questa palette cromatica aiuta. Al contrario, per esempio, il colore nero genera distacco, in quanto legato al mistero, al buio e, per tradizione, alla morte (l’usanza di vestire di nero nel periodo del lutto).

Sembrano banalità ma non lo sono affatto: il bianco e i colori naturali ci fanno pensare alla purezza, all’igiene, alle nuvole e al loro candore. Infatti l’abito bianco era l’abito delle vestali, del battesimo e delle cerimonie religiose, e nella quotidianità chi indossa la camicia bianca ci trasmette il senso dell’ordine e della cura della  persona.

I colori forti, saturi e vivaci ci portano a pensare all’arte nelle sue espressioni migliori, a un mix di genio e sregolatezza, in quanto saper abbinare tra loro fantasie e colori presuppone estro.

La capacità di gestire i colori del nostro abbigliamento, in modo tale da comunicare il nostro ruolo nella società, rende la nostra immagine più credibile e consona: se svolgi un lavoro creativo, ad esempio, e non fai uso di colori o di accessori o se non curi i particolari, difficilmente chi ti incontra può indovinare la tua professione; al contrario, se adotti outfit originali, sicuramente potresti attirare l’attenzione, ovviamente senza esagerare.

Il nostro outfit è il nostro biglietto da visita

Chi lavora nella moda non può vestire in modo scontato o banale. Chi chiederebbe consigli o chi acquisterebbe capi da chi non sa proporsi in maniera vincente?

Ma se il mio ruolo è dirigenziale non posso vestire troppo stravagante e sperare di trasmettere credibilità e professionalità. 

Tessuti rigidi e ben stirati comunicano eleganza, capi morbidi, elasticizzati o in filato grezzo fanno pensare al relax e al tempo libero.

Attraverso il nostro modo di vestire comunichiamo chi siamo e cosa facciamo, ma dobbiamo prestare molta attenzione a non essere sovrastati dai nostri abiti. 

Se siamo timide e ci lasciamo influenzare dalle ultime tendenze diventiamo vulnerabili, saremo troppo diverse dal gruppo a cui apparteniamo; al contrario, se siamo innovative e originali, e per comodità indossiamo capi scontati e banali, diamo un messaggio sottotono rispetto alle nostre competenze.

Le riflessioni iniziali di questo articolo e i preziosi consigli che Cristina ci ha fornito, possono essere spunti per pensare e magari, perché no, ripensare, all’immagine che vogliamo trasmettere di noi quando stiamo lavorando. 

E magari ripartire a settembre con una marcia in più.

Buona estate!

Cristina Lobascio, Consulente d’Immagine

Penso che la consulenza sia un percorso completo e mi appresto a intraprenderlo insieme alla persona affrontando anche gli aspetti psicologici legati allo stile, non soltanto limitandomi a dare alcuni consigli sulle ultime tendenze del momento.

L’obiettivo che mi pongo come Consulente d’Immagine è quello di creare uno stile personale, unico e riconoscibile, coerente con il carattere della persona e consono con il suo ruolo professionale, indipendentemente dalla moda e dalle tendenze del momento.

Avatar

Rete al Femminile

Ti potrebbero interessare:

come fare personal branding su linkedin

Personal Branding su LinkedIn

Come imprenditrice o freelance ti sarai trovata molte volte a combattere con l’idea di misurarti con LinkedIn, pensando che non…

Leggi tutto »
social media errori da non fare

Comunicare con i social media: gli errori da non fare

Lo so, magari sai già tutto sui social e hai letto decine di articoli su che cosa postare su Instagram…

Leggi tutto »
design testo

L’importanza del design di un testo

Hai presente quel vecchio proverbio che dice “anche l’occhio vuole la sua parte”? Ecco, credo che non ci sia frase…

Leggi tutto »

1 commento su “L’abito fa il monaco”

I commenti sono chiusi.