Lucrezia, che suono ha il coraggio?

impianto cocleare
Foto di Eva Volpato

Io e Lucrezia ci conosciamo sin da bambine: stessa aula del catechismo, qualche amico in comune, strade che per un po’ si sono intrecciate e poi hanno preso direzioni diverse.

Non ci vediamo spesso, se non alla rievocazione storica della nostra città: facciamo due chiacchiere e brindiamo insieme con qualcosa di alcolico non sempre ben definito.

Lucrezia è una delle persone più schiette e oneste con cui abbia mai avuto a che fare, è determinata e se vuole raggiungere un obiettivo ci lavora su duramente, facendo sacrifici.

Oggi è una brillante psicologa freelance e sta completando l’ultimo anno di specializzazione in psicologia cognitivo comportamentale (tradotto: un fine settimana sì e uno no è alle prese con gli studi).

Per me rientra di diritto nella rubrica di The BRAVE non solo per tutte queste cose, ma anche per il suo coraggio nel crescere il suo piccolo Laerte che, fin dalla nascita, ha dovuto lottare un po’ più degli altri bambini.

Ciao Lucrezia, ci racconti un po’ di te, Laerte e Gianluca?

Io, Gianluca e Laerte siamo una famiglia. Una famiglia come tante, solo che le cose che per gli altri sono normali per noi sono delle conquiste.

Laerte è nato prematuro alla 32esima settimana: pesava 1.330 grammi e la prima volta che l’ho visto non riuscivo a vederlo talmente era pieno di tubi. Abbiamo vissuto la terapia intensiva per 50 giorni.

È difficile trasformare in parole quello che si prova in quei momenti.

È difficile non avere risposta quando chiedi: “come sta mio figlio?”

È difficile venire dimessa dall’ospedale e dover lasciare il tuo bambino lì; nelle favole a lieto fine, nei sogni a occhi aperti di tutte le mamme e i papà, si torna a casa in tre.

Dopo la terapia intensiva abbiamo scoperto che Laerte è nato con una ipoacusia bilaterale profonda, significa che è nato completamente sordo.

Ricordo quel giorno come uno dei più brutti della mia vita. Non riuscivo a capire perché fosse successo proprio a me, a mio figlio, a noi. Ho fatto appello a tutte le mie forze per affrontare nel miglior modo possibile questa situazione, accettare la realtà e agire. Agire con coraggio.

Sei mesi fa Laerte si è sottoposto a un intervento chirurgico per mettere un impianto cocleare, un orecchio artificiale elettronico. Da allora i progressi sono stati tanti: Laerte ora è un bel bimbo di 16 mesi. Adora gli animali, le luci, il solletico e la musica, si incanta proprio quando gli facciamo ascoltare Lindsay Stirling (abbiamo scoperto essere la sua preferita).

La nostra vita è cambiata da allora. La speranza si è riaccesa ed è diventata un fuoco enorme per me e per Gianluca. Non molliamo anche se la stanchezza è tanta: tra qualche mese faremo il secondo impianto.

Caspita, un inizio davvero difficile per voi e Laerte…

Sì, anche se le cose, piano piano, stanno andando sempre meglio. All’inizio pensavo che l’impianto cocleare sarebbe stato un arrivo. Invece è solo l’inizio di un grande percorso. Bisogna lavorare per riattivare il nervo acustico, per aiutare i bambini sordi a capire che, dopo l’impianto, possono produrre suoni verbali per comunicare.

Se per le persone questo è un processo naturale che non costa fatica, per i bimbi sordi è una vittoria. Ho incontrato diversi bambini nati sordi: se non avessi conosciuto in anticipo la loro condizione, non mi sarei mai accorta di nulla. È impressionante: per arrivare a quel risultato c’è molto lavoro, impegno, dedizione e accorgimenti in più. Ma, come dicevo prima, è un percorso e poi si sa che le cose conquistate hanno tutto un altro sapore.

Cosa significa lavorare in proprio e prendersi cura di un bimbo che ha bisogno di qualche attenzione in più?

Bella domanda! È necessario imparare a organizzarsi molto bene e, soprattutto, avere una buona spalla. In questo sono stata molto fortunata perché il mio compagno è stato ed è tutt’ora un papà fenomenale, che non si è mai risparmiato.

Insieme siamo riusciti a incastrare turni di lavoro e impegni.

Come hai detto tu all’inizio, sono una psicologa freelance e devo dire che il mio lavoro mi ha aiutata molto. Non ho mai smesso di lavorare. Prima di partorire Laerte sono stata ricoverata un mese in ospedale, facevo la terapia per telefono con alcuni pazienti.

Sono stata a riposo una settimana, quella del cesareo, e poi nuovamente a lavoro. Anche quando mio figlio era in terapia intensiva.

Alle 7 del mattino ero da lui, rimanevo fino alle 15.30, poi andavo a lavorare fino alle 20. Tornavo a casa, mangiavo, dormivo e si riprendeva daccapo.

Il primo anno di vita di Laerte è stato molto impegnativo: ogni giorno una visita. Al mattino vedevamo i dottori e poi via, al pomeriggio andavo a lavorare.

Per qualcuno può sembrare una follia ma riuscire ad avere il tempo di lavorare, gestire i miei orari, mi ha permesso di non rinunciare alla mia attività, che per me è importantissima e per la quale ho lottato molto.

E poi diciamolo, non potevo permettermi di stare a casa: avrei perso i miei pazienti, avrei avuto problemi economici che avrebbero portato ulteriori ansie a una situazione già complessa.

Il mio lavoro da freelance è stato la mia salvezza, mi ha aiutato a non lasciarmi andare, a sentirmi una professionista, oltre a una mamma e una compagna.

Come riesci a organizzare le giornate con Laerte e gestire i tuoi orari?

Laerte è sempre con me o con Gianluca. Alcune volte la nostra famiglia e i nostri amici ci hanno aiutato quando eravamo in difficoltà con appuntamenti e turni. Il fatto di essere in proprio mi consente di ritagliarmi dei giorni da passare totalmente con lui, come il giorno del suo compleanno, il mio o quello del papà.

Il mio lavoro rimane ed è una parte fondamentale della mia vita, mi ha permesso di continuare a respirare ogni giorno, provare soddisfazione per quello che faccio ed è stato un grande aiuto per la mente e per lo spirito.

Ancora una domanda, ci spieghi cos’è The talking child?

The talking child è la pagina Instagram dove condivido il percorso di Laerte con chi vuole leggerci. Ho aperto la pagina con lo scopo di far conoscere a più persone possibili cos’è la sordità, cos’è un impianto cocleare nel modo più semplice possibile, partendo dalla nostra quotidianità.

La parola diversità fa paura perché non siamo abituati alla diversità: mi piacerebbe che con il tempo, quell’aggeggio colorato che mio figlio ha attaccato in testa venga considerato come un comunissimo paio d’occhiali.

E poi penso che la nostra storia possa essere di conforto per quei genitori che si ritrovano ad affrontare il nostro stesso percorso, conoscere i sentimenti di chi ci è già passato è stato oro per me, vorrei che fosse lo stesso per qualcun altro.

Grazie per il tuo esempio di grande coraggio Lucrezia, ecco qui la pagina Instagram con la storia di Laerte per tutti coloro che vogliono approfondire e saperne di più.

Tutta la Rete al Femminile di Biella vi augura un percorso pieno di gioia e soddisfazione.

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