Quanto è importante per te un ricordo?

Siamo esseri sociali

Viviamo di relazioni con le persone, con le cose; ci immergiamo nella storia e costruiamo la nostra identità. Identità che non è solo emozioni ma spesso è fatta di oggetti che ci aiutano a non perdere il filo di quello che accade: una conchiglia raccolta al mare, il primo dentino caduto a nostro figlio, la rosa che ci hanno regalato per chiederci scusa, la matita sbocconcellata al fondo prima dell’esame.

Con la passione per le scatole che Ikea, a nostra insaputa, ci ha obbligato ad avere, riponiamo, spesso in maniera compulsiva, cose: divise per colore, per tipologia, forma, dimensione.
Non sto parlando della disposofobia, ma di semplice e naturale attaccamento agli oggetti.


Disposofobia? Cos’è la disposofobia?  

È un disturbo da accumulo patologico seriale di oggetti caratterizzato da un bisogno ossessivo di acquisire (senza utilizzare né buttare via) una notevole quantità di beni, anche se gli elementi sono inutili, pericolosi o insalubri. L’accaparramento compulsivo provoca impedimenti e danni significativi ad attività essenziali della vita domestica: mobilità, alimentazione, igiene (del corpo e degli spazi) e riposo. (fonte wikipedia)

Già, ci sono persone che non riescono a liberarsi dagli oggetti e accumulano, senza criterio, sommandone ad altri, montagne di cose che diventano rifiuti, non certo riposte in scatole ordinate, ma gettate una sull’altra fino a farsi mancare il fiato.

Per non arrivare alla patologia, una delle soluzioni è praticare il decluttering, ovvero togliere le cose che ingombrano.

Il decluttering è una filosofia che ci porta ad eliminare il superfluo; è un lavoro lento, spesso anche doloroso, si devono fare i conti con le nostre ataviche paure del distacco, si deve imparare ad andare avanti lasciando per sempre il cordone ombelicale che ci lega al passato.

Io mi sono iscritta alla newsletter di Decluttering Efficace per imparare: così apro un cassetto dimenticato e con coraggio e forza di volontà comincio a scegliere, a dividere e, in maniera sorprendente, la bilancia pende dalla parte degli oggetti  che ho deciso di buttare via. Il senso di liberazione è immediato, fresco, profondo. Vero è che alle volte dura poco, dopo qualche giorno lo stesso cassetto torna colmo, ma con pazienza credo arriverò al giusto equilibrio.

Il giusto equilibrio. Ma dove sta il giusto equilibrio?

Siamo capaci di discernere tra il futile, l’inutile e ciò che davvero ci serve? Esiste una regola efficace, universale, come insegna il decluttering, o ognuno di noi deve costruirsene una sua?

“L’amica di Nonna Speranza” Guido Gozzano (1911)

Loreto impagliato e il busto d’Alfieri, di Napoleone
i fiori in cornice (le buone cose di pessimo gusto!)

il caminetto un po’ tetro, le scatole senza confetti,
i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro,

un qualche raro balocco, gli scrigni fatti di valve,
gli oggetti col mònito salve, ricordo, le noci di cocco

Venezia ritratta a musaici, gli acquarelli un po’ scialbi,
le stampe, i cofani, gli albi dipinti d’anemoni arcaici,

le tele di Massimo d’Azeglio, le miniature,
i dagherottipi: figure sognanti in perplessità,

il gran lampadario vetusto che pende a mezzo il salone
e immilla nel quarzo le buone cose di pessimo gusto,

il cùcu dell’ore che canta, le sedie parate a damasco
chermisi… rinasco, rinasco del mille ottocento cinquanta!

Siamo nel 1911, Guido Gozzano, un poeta a cui sono molto affezionata, dipinge con le parole una stanza d’altri tempi, affollata di oggetti che, se li leggiamo a voce alta, riusciamo a riconoscere. Fossero lì, nella nostra sala, ora, li getteremmo o li conserveremmo?  Sono cose o sono ricordi?

Ma cos’è un ricordo? Come lo definiamo?
Il ricordo è l’atto di riportare alla memoria immagini, nozioni, persone e avvenimenti.

Quanto è bello, nelle sere fredde e piovose d’inverno, riaprire, magari con i figli, le scatole con i loro ricordi, la prima tutina, il primo disegno!
E quanto è appagante vedere la nostra collezione di rane o di gnomi. O di campioncini di profumo.
Questo è un ricordo, qualcosa che a vederlo e toccarlo rievoca sentimenti profondi. Ci fa commuovere o ridere, ci comunica che abbiamo vissuto, che siamo parte di un tutto in divenire.

Io di mestiere faccio la restauratrice e mi trovo spesso a confrontarmi con i ricordi dei miei clienti. Gli oggetti che mi portano a restaurare hanno delle storie da raccontare e il sapere che sarò io a ricomporle mi dà un potere e una responsabilità molto grande. È per questo che ho deciso di imparare la tecnica Kintsugi, che ripara con l’oro le rotture e le evidenzia, rendendo unica la fragilità.

Imparare a distinguere i ricordi dagli oggetti inutili: ti spingo a fare un gioco con me.
Prendi una stanza della tua casa o del tuo ufficio, comincia dal lato vicino alla porta e prosegui un lato alla volta. Guarda sui muri, nelle scatole, nei cassetti, apri le porte degli armadi. Ascolta le storie che ti raccontano gli oggetti che trovi e butta, senza esitazione alcuna, quelli che sono muti. Non ti appartengono più.

O riciclali, rinnovali, dona loro nuova vita. Pensa che in Svezia danno addirittura sgravi fiscali a chi ricicla!

Dopo che hai dato una sistemata alla tua casa, torni a raccontarmi come stai?

LINK UTILI

Che cos’è la disposofobia?

Il decluttering efficace

Gli sgravi fiscali sui rifiuti in Svezia

In Svezia che si fa?

Chiara Lorenzetti

Restauro ceramiche, oggetti in legno policromi e dorati, bambole. Pratico l'arte Kintsugi originale giapponese.

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2 commenti su “Quanto è importante per te un ricordo?”

  1. Fantastico Chiara,
    mi hai fatto pensare a tutti i lavori che ho fatto e a quegli artisti concettuali ai quali mi sono ispirata. Loro hanno fatto arte con quegli accumuli fisici e mentali passando dalle memorie pubbliche a quelle private, hanno dato il via ad opere ineguagliabili.
    Mi ricordo di Koonellis, concentrato sull’accumulo dei materiali naturali usati in passato. Ha creato installazioni con lane e tele grezze per lasciare traccia e non dimenticare, nonostante i progetti di materiali sintetici e tecnologici, i vecchi materiali. Oppure Gerard Richter che usa la foto-istantanea, accumulandone a milioni e ogni foto ci riporta al passato.
    Anche Christian Boltanski ha lavorato sulla memoria .. si è concentrato però sulla morte: una sua grandissima installazione è “Les Suisses morts” 1989, ritratti fotografici di persone sconosciute prese dagli annunci mortuari di un quotidiano elvetico di cui ferma così una traccia nel fluire del tempo (pensa che raccolta!).
    Anselm Kiefer riflette costantemente sulle grandi questioni storiche e culturali del presente e del passato e vive con coraggio i propri progetti artistici come in “Autoritratti eroici” 1965 dove si fa fotografare con dei capi militari, della sua famiglia, mentre fa il saluto di Hitler. Con questo gesto vuol far si che non ci si dimentichi i fatti della guerra facendosi carico della responsabilità (gesto molto difficile da non fraintendere).
    Kara Walker invece ha “giocato” con le memorie dello schiavismo. Questa artista ha scosso il mondo dell’arte e ha creato una ventina di monumentali pitture murali in cui silhouette in bianco e nero rappresentano gli stereotipi razziali e di genere della pornografia letteraria anteriore alla guerra civile americana…
    Sono moltissimi ancora e non li ricordo…e così come, giustamente, hai menzionato Gozzano in quella meravigliosa elencazione poetica, il lavoro della memoria, del ricordo, del tempo e della caducità delle cose è cosa di tutti …basta fare il gioco con te!

    • Cara Rosita, il tuo excursus artistico sulla memoria è sorprendente. Confesso di conoscere molto poco di arte moderna ma con i tuoi suggerimenti so dove andare.
      Io qui parlo di ricordi personali e della nostra capacità di gestirli, siano cose o sentimenti. Altro è se la memoria è esterna e viene fatta da altri.
      Allora diventa testimonianza e assurge al ruolo di opera d’arte.
      Gozzano è uno dei miei poeti preferiti, mi piace la sua ridondanza, il suo gusto eccentrico, il sapore demodè.
      Tutto direi.
      Un abbraccio

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