Biella

Ruoli di potere al femminile

L’articolo che stai leggendo appare sul blog di Rete al Femminile Biella, la rete locale di una associazione nazionale che si occupa di promuovere e accompagnare le donne che lavorano in proprio con obiettivi di aggiornamento, condivisione e networking.

Donne e lavoro dunque.

Ma com’è la situazione dell’occupazione femminile in Italia?

Un po’ di numeri

Dal 51° rapporto del CENSIS del 1 dicembre 2017 si legge che

“Le donne migliorano la loro condizione occupazionale nel corso degli ultimi mesi. Tra il primo semestre 2016 e il primo semestre 2017 il successo nella ricerca di un lavoro ha premiato 133.000 donne, con un incremento dell’1,4% delle donne occupate a fine periodo. Il tasso di occupazione sale di quasi un punto, due decimali in più rispetto all’aumento del tasso di occupazione maschile. […].

Nel 1977 il divario tra il tasso di occupazione maschile e quello femminile era pari a 41,4 punti percentuali. Il primo semestre di quest’anno ci consegna un’immagine ancora non positiva, poiché i punti del divario si sono ridotti notevolmente, ma la distanza da colmare è ancora di ben 18 punti. Il profilo dell’occupazione femminile indica una maggiore propensione a puntare sull’area del lavoro indipendente”.

Dunque la situazione italiana è notevolmente migliorata negli ultimi 40 anni rispetto al divario di genere in ambito lavorativo. Peccato però che a livello Europeo, tale divario ci veda arrivare al penultimo posto in classifica fra Malta (24,5%) e la Grecia (17,7%) e che il record storico di donne occupate in Italia sia un risultato favorito dall’innalzamento dell’età pensionabile.

I numeri delle donne in carriera

Per quanto riguarda il posizionamento delle donne a livello dirigenziale, da un recente rapporto di Manageritalia emerge che

Siamo ancora lontani dalla parità, ma la corsa continua. Infatti, nel 2017, da un dato disponibile Inps, le donne sono il 17,1% dei dirigenti privati (erano il 16,6% l’anno precedente), ma ben il 31,7% tra gli under 35 e il 27,9% tra gli under 40. La loro forte crescita, in atto da anni, è continuata anche nell’ultimo periodo, che ha visto i dirigenti in calo per la forte crisi.”

Anche qui i dati sono senza alcun dubbio incoraggianti, anche se dobbiamo considerarne qualcuno in più: le donne dirigenti risultano essere in maniera più pronunciata degli uomini in condizioni di single (il 20,52% contro l’8,07%) o di separate/divorziate (6,41% contro il 2,93%). Inoltre più di ¾ delle donne associate a Manageritalia (il 79,5%) non ha figli, il 12,5% ne ha uno e solo il 7,46% ne ha 2. Tanto per guardare l’altra metà del cielo, i dirigenti maschi con 2 figli risultano essere più del doppio (il 16,43%).

Cosa significano questi dati?

Da una parte, negli ultimi anni la posizione lavorativa delle donne è senz’altro migliorata: aumentano le dirigenti, le libere professioniste, le imprenditrici e le impiegate. Nel lavoro dipendente la presenza femminile è complessivamente cresciuta e anche il numero delle libere professioniste è più che raddoppiato.

Ma l’evidenza che emerge dai dati è che fare carriera per una donna e ricoprire ruoli di responsabilità e di dirigenza è molto più difficile che essere assunte. E può comportare un costo molto alto da pagare a livello personale.

“Anche nei contesti lavorativi più flessibili del terziario e del pubblico impiego, le carriere continuano a richiedere alti investimenti di tempo (orari senza limite, impegni senza preavviso) e di disponibilità (in particolare alla mobilità geografica), che mal si conciliano con il modello richiesto alle donne della «doppia presenza», quella sorta di miracolosa ubiquità che le costringe a fare i salti mortali per non fare pesare la propria assenza né in casa né in ufficio.”

(L. D’ambrosio Marri, M. Mallen Effetto D. Se la leadership è al femminile: storie speciali di donne normali – F.Angeli, 2011).

E, aggiungo, riduce le donne a vivere l’esperienza del carico mentale di cui ho parlato in un precedente articolo apparso su questo blog: dover tenere a mente i propri impegni professionali e al contempo le agende di figli, mariti, genitori, vivendo così una giornata sempre con l’orologio in testa, nell’estenuante impresa di arrivare a sera.

Proprio mentre stavo scrivendo quell’articolo, sono rimasta colpita come googolando parole come “conciliazione famiglia e lavoro”, apparissero solamente siti dedicati a un pubblico femminile, che trattavano l’argomento rivolgendosi alle donne.

Come se la questione di occuparsi sia di casa sia di lavoro fosse un affare o una responsabilità esclusivamente femminili.

Il CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) ha proposto di utilizzare nei documenti ufficiali e nei provvedimenti legislativi non più la dicitura “conciliazione per le donne”, ma “conciliazione per uomini e donne”, attribuendo così al linguaggio la funzione di elemento di conferma e di mutamento della cultura.

Già. Perché è anche di cultura, costume e società che stiamo parlando.

Siamo portati spesso a pensare che le ragioni degli ostacoli alla carriera delle donne stiano prevalentemente nelle mancanze e nelle negligenze delle visioni politiche: pochi asili aperti fino a tardi, costi troppo elevati, assenza quasi totale di supporti nei fine settimana… insomma fattori esterni a noi, di cui ci possiamo lamentare, attendendo che qualcosa cambi.

Ma a guardare un po’ più nel profondo, le ragioni forse non stanno fuori da noi, a livelli quindi più alti: perché così come un elettore è responsabile del voto che dà affinché si formi un governo, ogni singolo individuo è responsabile di se stesso e del cambiamento che vuole generare nella società in cui vive.

Gandhi diceva:

“Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”

Ancora oggi in Occidente l’educazione femminile è improntata troppo spesso a instillare nelle giovani il dover risultare gradevoli, a compiacere i bisogni degli altri, a non disturbare troppo, al senso di colpa: una bambina cresciuta in un ambiente costellato da tali valori trova certamente più difficoltà a sviluppare le sue doti e attitudini e può invece aumentare l’insicurezza e la paura di non essere accettate o accettabili.

In parallelo questo tipo di educazione può favorire la formazione di un’immagine ideale di sé troppo elevata, che porta ad un eccesso di perfezionismo: voler essere sempre all’altezza per vedere riconosciuto il proprio valore, avere paura di non farcela, minimizzare i propri successi, non chiedere un riconoscimento economico o un avanzamento di carriera, non sapere dire di no. 

Dal “Ce la farò?” al “Ne vale la pena?”

C’è poi un altro messaggio che viene trasmesso in alcuni tipi di educazione e in molte favole per bambini: Cenerentola, prototipo delle virtù domestiche, dell’umiltà e della pazienza viene resa felice dalla scelta del principe; Biancaneve viene tirata fuori dagli impicci grazie al principe; Cappuccetto Rosso e la nonna vengono salvate dal cacciatore; Aurora si ridesta dall’incantesimo malefico grazie al bacio del suo valoroso cavaliere.

Insomma: pare che senza l’intervento di un uomo che sappia riconoscere le capacità di una donna, i talenti femminili non possano sbocciare (Pretty woman docet).

E così si genera il bisogno di un uomo che protegga, di un mentore che illumini, di un capo che guidi. Perché è come se si trasmettesse il messaggio che da sole non siamo abbastanza.

Questo crea una serie di paure e titubanze che inibiscono le potenzialità e la messa a frutto delle capacità di una persona: crea di fatto sfiducia in se stessi e un meccanismo di compiacenza dei desideri e delle aspettative altrui, che fa perdere di vista a volte il proprio bene e se stessi, nell’eterna e incolmabile attesa dell’approvazione dell’altro, che serve a sentirsi adeguate.

Maria Montessori, fra i suoi cavalli di battaglia, aveva quello di insegnare ai bambini a fare da sé, poiché essere autonomi consente l’accesso a una delle più grandi ricchezze al mondo: la libertà. E chissà che in questo suo insegnamento non ci fosse qualcosa non solo della pedagogista, ma anche della donna, visto che la Montessori nel 1886 fu la prima ragazza a laurearsi in medicina in Italia e questa scelta ebbe un costo molto alto da sostenere per lei: quello di dover rinunciare a suo figlio.

Allora per un cambio di mentalità che possa generare una nuova realtà, è necessario che le donne inizino ad accettare i loro limiti e a sopportare di poter sbagliare, rinunciando a prendersi troppo sul serio e cambiando un po’ parametro di riferimento.

Smith nell’ambito dell’assertività, cioè la capacità di affermare se stessi nel rispetto dell’altro, ha identificato 10 diritti affermativi. Ne riporto alcuni:

  • hai il diritto di valutare e decidere se farti carico di trovare soluzioni ai problemi degli altri;
  • hai il diritto di commettere errori, accettandone la responsabilità;
  • hai il diritto a dire “non lo so”;
  • hai il diritto di sentirti libero dall’approvazione delle persone con cui sei in relazione;
  • hai il diritto di non essere perfetto.

Si tratta di un cambio di prospettiva e significa spostare il focus delle proprie attenzioni e interessi: dall’essere “brave ragazze” al “sentirsi bene”.

Succede spesso che una donna investita di una carica o di un ruolo di rilevanza si chieda: “Me lo merito?”, “Ce la farò?”, pensieri autolimitanti che sarebbe opportuno sostituire con la domanda più selettiva e costruttiva: “Ne vale la pena?”.

Credere in se stesse

Si tratta di compiere un percorso che conduca all’accettazione di sé, alla stima di sé per ciò che si sa fare, ma soprattutto per ciò che si è.
È credere in se stesse. È trovare la propria autenticità e non metterla in dubbio, portandola nel mondo.

Come scrive Beatrice Venezi, direttrice d’orchestra non ancora trentenne, nel suo libro “Allegro con fuoco”,

“A volte è inevitabile farsi prendere dallo sconforto, perché sembra che non ci sia talento o preparazione che paghi, che le logiche siano altre. […] È inevitabile allora, io credo, trovandomi a essere quello che sono e dove sono, provare a portare una ventata di aria fresca, far entrare il futuro nel passato.
E come posso farlo se non provando a cambiare le cose proprio da quello che faccio ogni giorno, tentando di spostare l’asticella della figura del direttore, proponendo un diverso modello di leadership che è quello in cui io personalmente credo? Non più un dittatore, ma qualcuno che miri a valorizzare e far crescere il singolo, riconoscendone i risultati.
Una leadership gentile, partecipata, quasi seducente, in cui gran parte la gioca il carisma del singolo e l’interazione con il materiale umano dell’orchestra insieme alla quale ci si trova a lavorare. […] Come dimostrare di meritarsi quel posto da leader? Onestamente? Onestamente è un problema che non mi sono mai posta, perché per me è assolutamente naturale. Non mi devo imporre una condotta da leader, non devo vestire la maschera del direttore. Questa forma di sicurezza è anche una forma di verità, di nudità. Chi mi vede, vede Beatrice: Beatrice nella funzione di direttore d’orchestra.”

Donne e potere

Ma che rapporto hanno le donne con il potere?

Questa parola in molte donne (ma non solo) evoca spesso un significato negativo legato a un rapporto non paritario, una tendenza a imporsi, all’essere aggressivi e autoritari. Ma è questo davvero essere un leader o esercitare una leadership?

In realtà l’abitudine delle donne a dare valore al tempo, favorisce la loro propensione a generare ambienti lavorativi più vivibili, in cui si presta maggiore attenzione alle persone, a partire dalla suddivisione dei carichi di lavoro fino alla condivisione delle decisioni, si sviluppano relazioni positive con i propri interlocutori e si prevengono e gestiscono gli eventuali conflitti attraverso la mediazione.

Le donne sono meno interessate e motivate rispetto alla rappresentazione dell’ambizione come fattore di successo individuale, mentre sono ugualmente o maggiormente motivate dei colleghi maschi da una ambizione a voler cambiare le cose e a ottenere mutamenti sociali.

Il potere non è necessariamente da interpretare come un dominio sull’altro, ma come possibilità di poter fare, di poter incidere in un ambito che sta a cuore.

Inoltre, nell’osservazione degli stili di leadership emerge che se per gli uomini la principale via per avere autostima, caratteristica necessaria per essere leader, è l’autonomia, nella donna è la relazione: quindi potremmo immaginarci che un uomo guarda davanti a sé, mentre una donna guarda intorno a sé.

La leadership femminile è basata sulla competenza e sulla precisione, ma anche sulla relazione di ascolto con i propri collaboratori che si traduce in vicinanza e condivisione.

Titti Postiglione, Capo della Sala Operativa della Protezione Civile dal 1999 al 2011, è stata l’unica donna ad avere una responsabilità del genere anche durante eventi catastrofici come i terremoti che hanno devastato il nostro Centro-Italia.

Dei suoi uomini, dei suoi collaboratori diretti e funzionali, Titti conosce chi ha bambini o chi ha problemi in famiglia ed è consapevole che il loro è un mestiere complicato anche per le componenti personali.

È una donna che comunica con il suo fare e con le sue parole un senso di cittadinanza responsabile, un modo di intendere  e interpretare il concetto di Servizio che va ben al di là della visibilità personale.

E per credere in noi stesse e nelle nostre capacità, anche di leadership, la solidarietà fra donne diventa una risorsa indispensabile per abbattere le pareti dei pregiudizi e sostenere l’attività creativa. È un bene da coltivare e esplorare fino in fondo, perché ha il potere di scongelare idee altrimenti destinate a non prendere il volo, restando sepolte sotto la coltre di indifferenza di ambienti di lavoro appiattiti o di ambienti familiari chiusi.

E lo sappiamo bene in Rete al Femminile, associazione di genere in cui le donne aiutano altre donne a fare gruppo e a fare business.

Chiara Magnani, ex leader della rete di Biella e parte del consiglio direttivo nazionale ricorda come “uno dei tratti che accomuna maggiormente tutte le diverse reti locali della nostra associazione è il beneficio che tutte le associate ricavano dal sentire di altre donne molto diverse da loro (per ambiente, situazione, tipologia di rapporti) con gli stessi problemi di accettazione, riconoscimento, apprezzamento e, non da ultimo, di conciliazione tra lavoro e famiglia. Conoscere altre donne che sono riuscite a migliorare anche solo uno di questi aspetti dà speranza e fiducia nella propria scelta lavorativa, perché là fuori, nel mondo esterno, trovano ben poche conferme e case history di successo a cui poter fare riferimento.”

Prosegue Marie Louise Denti, attuale Leader della nostra Rete di Biella: “Da sole non siamo abbastanza è vero, ne sono fermamente convinta. Credo che questa frase possa essere letta in accezione negativa se si sottolinea un deficit di genere o una mancanza d’indipendenza ma, come leader della Rete di Biella, mi sento di leggerla come una frase manifesto che diventa un potere attivo e agito se, come sottolineato dal taglio di questo articolo, ci guardiamo intorno e vediamo nell’altra donna (o uomo che sia) un’alleata alla pari con cui fare un tratto di percorso fianco a fianco in modo sincero e chiaro. Questo è uno dei valori su cui si fonda la nostra Associazione, creare un ambiente fertile per la nascita di collaborazioni in ambito lavorativo.”

Per concludere

Dopo questi due preziosi interventi di Leader ed ex Leader della Rete di Biella, mi viene ancora da fare un racconto, per concludere il percorso di questo lungo articolo (grazie se hai letto fino a qui!).

La sera, prima di andare a dormire, mia figlia sceglie qualche librino da leggere: nella sua biblioteca accanto a Biancaneve, Cenerentola e la Bella Addormentata nel bosco c’è la Piccolissima Cenerentola, la storia di una bambina che viene lasciata a casa dalle sorellastre (i genitori) che vanno a una festa.

A intrattenerla arriva la fata turchina (la babysitter) che le propone di andare anche lei al ballo. La Piccolissima Cenerentola accetta entusiasta la proposta, ma quando la fata le dice che bisogna trovare un abito speciale, fronzoloso, lei risponde che si veste come ha voglia: con il suo cappotto con le rane e gli stivaletti suoi preferiti.

E alla festa non ci andrà con il calesse trainato  dai cavalli che tutti si aspetterebbero, bensì con il suo monopattino blu.

Al ballo conosce un sacco di bambini e si diverte. E quando perde il suo stivale, glielo riporta un piccolissimo principe, che indossa a sua volta stivali molto belli, a pallini. I due bambini stringono amicizia e si scambiano gli stivaletti, iniziando poi a scorrazzare con i monopattini di entrambi, insieme.

Questo è ciò che auguro a mia figlia e a tutte le donne del mondo, me compresa: di creare rapporti alla pari in amore, in amicizia e sul lavoro. Di sentirsi alla pari, sempre. Di sviluppare la loro assertività, autenticità, l’orgoglio di essere se stesse e di affermarsi nel mondo.

Così da potersi divertire insieme, lavorare insieme, e aiutarsi reciprocamente, senza aspettarsi di dover essere protette, educate, guidate, ma capaci di generare relazioni, in qualsiasi ambito della propria vita, in cui non sia mai messo in discussione il valore che si sente di avere.

Sentendosi in diritto di essere leader in un ambito che appassiona, in cui si crede e in cui si vuole provare a dare il proprio contributo. Se lo si vuole, quando lo si vuole e se ne vale davvero la pena.

Liberandosi, infine, dall’irrealistica aspettativa di piacere a tutti.

Per cercare di vivere (per sempre) felici per ciò che si fa e contenti di ciò che si è.

Photo by Katrina on Unsplash

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Francesca Tanini

Sono Francesca Tanini, Psicologa e Psicoterapeuta Dinamica individuale e di gruppo. Ho una parola chiave che guida come un mantra il mio lavoro e la mia vita: è autenticità. E ogni giorno mi impegno a ricercarla e a farla emergere in me, in quello che faccio e in ogni relazione che intraprendo, terapeutica o personale che sia.

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